Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge riprende il contenuto di un'analoga iniziativa presentata nella scorsa legislatura (atto Camera n. 1963). Allora, la pronuncia di assoluzione, in primo grado, degli imputati per la vicenda di Porto Marghera riproponeva con forza la necessità che il problema dei siti industriali a rischio nel nostro Paese venisse affrontato nella sua complessità in sede parlamentare e politica. Nel frattempo, il tribunale di secondo grado, rovesciando la sentenza precedente, ha in parte reso giustizia alle vittime e ai loro superstiti. Tuttavia permangono le motivazioni alla base dell'iniziativa legislativa e, in particolare, l'esigenza della costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che accerti le responsabilità e in maniera propositiva elabori le soluzioni di natura legislativa e normativa per la tutela della salute dei lavoratori e dell'ambiente.
      Purtroppo, per molti anni, queste necessità hanno viaggiato in maniera parallela senza convergere, quasi che l'una escludesse l'altra in nome del progresso, e così si sono realizzati impianti industriali dal rilevantissimo impatto ambientale e dove sulla pericolosità delle lavorazioni per la salute dei lavoratori non ci si era soffermati in modo dovuto.
      Basti pensare al CVM, cloruro di vinile monomero, e al PVC o al PCB, policloruro di bifenile, al benzene, allo stirene, tutte sostanze altamente tossiche e cancerogene, che hanno provocato malattie croniche e

 

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in molti casi hanno portato alla morte molti lavoratori e anche gli abitanti residenti in prossimità degli impianti industriali.
      Già dallo studio «Ambiente e salute in Italia» del 1997, coordinato dal Centro europeo Ambiente e Salute di Roma dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale, basandosi su dati di mortalità compresi nel periodo 1980-1987, si rileva un generale aumento della mortalità e del rischio d'insorgenza di alcune specifiche patologie tumorali e se ne attribuisce la causa alle condizioni ambientali e lavorative.
      Nello studio vengono analizzati i tassi di mortalità di alcune delle «aree ad elevato rischio di crisi ambientale» identificate con apposito decreto ministeriale.
      Da un successivo aggiornamento di quello stesso studio, riferito al 1994, vengono qui riportati parte dei risultati per alcune delle aree a rischio situate in prossimità di poli chimici e petrolchimici per determinate cause di morte.
      Lo studio descrive lo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree ad elevato rischio di crisi ambientale, misurato utilizzando i dati disponibili di mortalità; per caratterizzare i possibili rischi per la salute sono state considerate una trentina di cause diverse. Le aree di studio prendono in considerazione, oltre ai dati relativi alle città, anche quelli che riguardano l'intero comune, considerato come confine amministrativo, e nel valutare i risultati si è tenuto conto anche dei fattori di confondimento legati alle caratteristiche socio-demografiche, per escludere eventuali eccessi di rischio. I dati di mortalità di fonte ISTAT si riferiscono al periodo 1990-1994. I trend temporali sono stati analizzati per il periodo 1981-1994. Le analisi sono state condotte, per ogni singola area, separatamente per uomini e donne. Sono stati calcolati il numero di decessi osservati (tassi grezzi e standardizzati per età), i rapporti standardizzati di mortalità (Smr), e sono stati utilizzati, come riferimento, i tassi di mortalità della popolazione nazionale e di quella regionale.
      Da Marghera a Brescia, da Ravenna a Priolo, da Mantova a Brindisi e Manfredonia, la mappa delle fabbriche a rischio interessa l'intero territorio nazionale e la salute di più di 11 milioni di italiani che abitano nelle aree a «rischio di crisi ambientale». Questa mappa redatta dall'Organizzazione mondiale della sanità offre una radiografia del rischio per la salute per tutte le cause a partire dai tumori, soprattutto al polmone, alla pleura, alla vescica, da mettersi in relazione con lavorazioni a rischio. Ma oltre alle patologie tumorali, prende in considerazione anche le morti per malattie respiratorie non tumorali. Si tratta sempre di patologie croniche il cui periodo di latenza è sempre piuttosto lungo, dai 5-10 anni per la leucemia ai 20-30 per il tumore polmonare.
      Anche nel rapporto di Legambiente «La chimica dei veleni», presentato a Roma a fine gennaio del 2001, dove si ripercorrono le indagini epidemiologiche condotte da diversi centri istituzionali di ricerca, emerge che il dato dei lavoratori e della popolazione a rischio nelle aree dove hanno luogo insediamenti chimici e petrolchimici e industriali in generale è molto alto. A Brindisi, la mortalità per tumore risulta del 55 per cento superiore alla media regionale e i tumori più diffusi risultano essere quelli alla trachea, bronchi e polmoni (più 36 per cento nei maschi, più 97 per cento nelle femmine rispetto alla media regionale).
      A Mantova, per la popolazione residente entro due chilometri dall'inceneritore dei rifiuti industriali del polo chimico, la probabilità di contrarre un rarissimo tumore, il sarcoma dei tessuti molli, è risultata 25 volte superiore rispetto agli altri mantovani, in uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Istituto superiore di sanità, ASL di Mantova, ISPESL e Università La Sapienza di Roma. E decine di lavoratori dello stirene - sempre a Mantova - sono morti per leucemie e linfomi.
 

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      Sempre nel dossier di Legambiente si legge di uno studio elaborato dall'Istituto superiore di sanità, che prende in esame i lavoratori di quattro stabilimenti italiani tra cui Ravenna e la vicina Ferrara. Lo studio conferma l'azione cancerogena del CVM sul fegato, con induzione di angiosarcomi e carcinomi, nonché un'azione epatotossica che comporta un incremento della mortalità per cirrosi in alcuni sottogruppi ad alta esposizione. Lo studio suggerisce inoltre un incremento del rischio di cancro polmonare in lavoratori esposti a polveri di PVC.
      Il settore dell'industria chimica appare particolarmente a rischio anche per gli eventuali incidenti rilevanti, non solo per la pericolosità delle sostanze lavorate o stoccate, ma spesso anche per le scarse condizioni di sicurezza in cui lavorano gli addetti, il minore livello di conoscenza dei processi e la sempre più scarsa formazione degli operatori, dato che la manutenzione è ormai totalmente in mano a ditte esterne, che spesso si aggiudicano l'appalto al massimo ribasso.
      Oltre alle problematiche legate al rischio industriale e sanitario nelle aziende tuttora funzionanti, grave e tuttora irrisolto appare anche il rischio relativo agli impianti dismessi e a quelli in via di dismissione inseriti in progetti di bonifica. Gli interventi di trattamento e bonifica si stanno rivelando critici per le grandi quantità di materiali da trattare, la complessità delle contaminazioni, molto spesso non ben conosciute e che oltre ai terreni hanno interessato le falde acquifere, la mancanza di tecnologie di trattamento e di siti idonei dove ubicare i materiali rimossi e da trattare.
      Già prima delle citate sentenze sulla vicenda di Porto Marghera non era pensabile che fosse solo la magistratura a dover mettere fine ad un pezzo della storia industriale del nostro paese.
      Per questo, la presente proposta di inchiesta parlamentare si pone come obiettivo quello di far uscire il problema della pericolosità di queste lavorazioni e di questi impianti dalla estemporaneità della cronaca e di dare, invece, un quadro organico della dimensione, per individuare soluzioni legislative e normative a partire dalla chiusura dei cicli di lavorazione per i quali non vi siano più dubbi sulla loro pericolosità sanitaria e sulla loro incompatibilità ambientale, oltreché sulla loro valenza economica.
      Inoltre, sarà indispensabile, di intesa con le istituzioni regionali e gli enti locali, con il coinvolgimento del mondo imprenditoriale e del mondo associativo e di rappresentanza dei lavoratori e dei cittadini, impostare studi seri sugli addetti alle lavorazioni a rischio e attuare programmi di sorveglianza sulla popolazione esposta massicciamente a sostanze che sappiamo essere tossiche e cancerogene.
      Non è, quindi, più procrastinabile il risanamento ambientale e la bonifica dei siti contaminati e di quelli dismessi e il Parlamento, con l'istituzione di questa Commissione d'inchiesta, può finalmente porre la parola fine a una pagina drammatica della storia industriale del nostro Paese.
 

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